domenica 26 agosto 2012

SAGGISTICA E SCUOLA (1)


Se, come da più parti si lamenta, la cultura musicale risulta assente a livello di massa, la colpa fondamentale non può non essere del mondo musicale stesso, il quale (anche in considerazione del fatto che se non si fa musica nei licei, non si fa cultura nei conservatori: secondo una pacifica divisione del lavoro) avalla, promuove e difende la separazione rigida degli ambienti specialistici.
Le discussioni, le dispute, le battaglie (anche di alto livello scientifico) di tale mondo, si svolgono come se la musica fosse in grado – unica – di spiegare se stessa e di generare un universo a essa consonante. I guasti prodotti da questa concezione si toccano con mano [1].


Scrive Vladimir Janklélevitch (*): “Non si dovrebbe scrivere ‘sulla’ musica ma ‘con’ la musica, e musicalmente restare complici del suo mistero” [2].


L’ASCOLTO CRITICO ED ATTIVO

I fini che si deve proporre una didattica dell’ascolto sono, da una parte, la promozione di un gusto e di una sensibilità musicale e, dall’altra, lo sviluppo delle capacità di analisi, di riconoscimento e di valutazione. (...)

Dobbiamo liberarci perciò dell’idea che il gusto sia solo frutto di una sensibilizzazione a livello emozionale e intuitivo: esso proviene invece da una strenua coltivazione di un’intelligenza osservativa, analitica e giudicativa. Si preferisce Strawinsky alla canzonetta perché si è in grado di riconoscere, nelle proposte musicali del primo, una strutturazione più ricca e complessa, un’articolazione assai più informativa e originale dei mezzi sonori. In questo senso, “bello” e “brutto” significano abbastanza poco, e se non si guideranno gradualmente gli alunni a una effettiva conoscenza di ciò che ascoltano, la musica continuerà a rimanere per essi un oggetto vago e sfuggente, da trattarsi in chiave evasiva e impressionistica più che con gli strumenti dell’intelletto.
A questo punto possono delinearsi le direttrici fondamentali di una didattica costruttiva dell’ascolto. Anzitutto, non ha alcun senso, al livello della scuola media, procedere secondo un ordine storico. Il problema è quello di impadronorsi almeno a linee generali di un linguaggio, non di vederne l’evoluzione nel tempo. (...)

Musiche dunque, almeno ai primi stadi, che presentino aspetti coloristici, timbrici, dinamici tali da colpire il ragazzo, da provocarlo, da suscitarne l’interesse. (...)

Non si intende però affermare che si debba scendere a compromessi, che si imposti, ad esempio, la didattica dell’ascolto su stimoli extra-musicali e fuorvianti (Questo cosa rappresenta? Che cosa ti fa immaginare? E altre simili corbellerie). (...)

La musica descrittiva è, in questo senso, molto pericolosa. [3]


Miope, disorientato, pressapochistico, contraddittorio: brevemente non saprei come altro definire questo periodo di circa quarant’anni di gestione della musica.
 Dal mondo accademico, quello che dovrebbe delineare un favorevole ed equilibrato comportamento generale della società vicina alle arti sonore, la dichiarazione involontaria (?) è che da sempre è crisi conclamata.
 Jankelévitc assieme ad Adorno (pluggin), sembrano del tutto ignorati, lasciando quindi libertà di azione ad altre entità (descritte e che descriveremo) di rovinare più o meno intenzionalmente la cultura musicale di massa e non.
 Le “autorità accademiche” che hanno avuto importanti facoltà operative sono state alquanto presuntuose non perlustrando totalmente il “campo di guerra”. Stando a quello che dice Zaccaro, perché in fondo tutto è collegato, dibattono (nell'ultima parte) su una cosa che in fin dei conti non praticano mai, infatti i programmi scolastici della scuola secondaria parlano chiaro; il periodo è quello: anni 70. “I guasti si toccano con mano”.

Alla luce di quanto detto finora, chi s’è accorto di quanto sia stato “antieducativo” Fantasia di Walt Disney? E così anche quelle più modeste strisce animate di provenienza U.S.A. e approdate in Italia negli anni 60-70 tipo Felix, Braccio di ferro e Betty Boop, che sdoganavano vicende leggere ma supportate dalla musica jazz e swing? **

Trasportati da una corrente "misteriosa" più forte, la barchetta dei programmi ministeriali cambia bandiera e fantasticare sarà permesso.

E quel plugging di Adorno cristallizzato a tutt’oggi unicamente come la ripetitività dell’ascolto di un brano musicale fino ad essere accettato, è una risorsa ormai logora e sorpassata se presa da sola. Ce ne sono altre (che vedremo) messe in atto, più o meno riuscite, che tendono a desertificare quella fetta di mercato e di società le quali fanno riferimento.




[1] Storia sociale della musica – Gianfranco Zaccaro (Newton Compton), 1979

[2] Risponde Umberto Galimberti –  Donna (La Repubblica), 7 Marzo 2009

[3] La comunicazione musicale e l’educazione (Editrice La Scuola), 1974 - 
Maurizio Della Casa

[*] (1903 - 1985). Esperto di musica e pianista. Nel 1968 diresse programmi musicali a 
Radio Tolosa

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